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Enogastronomia e cultura del territorio
L’accoglienza da Ferragù è unica, un’esperienza che nessun’altra cantina può offrire. La peculiarità? Carlo, il titolare. Carlo non è una persona di molte parole, osservandoci come ci studiasse si limita a dire il minimo indispensabile “Il lavoro è tutto nella selezione in vigneto” “Il vino base non esiste, perché l’uva rimane direttamente in campo” e poco altro.
Carlo poi ci porta a vedere la cantina e la barricaia, una grotta sotto la cantina probabilmente antica, di qualche secolo. Con la stessa semplicità con cui ci ha accolti ci raduna attorno ad un tavolo e iniziamo la degustazione. Lo spumante, il Ferrabut è completamente inaspettato. Nessuno penserebbe di entrare in Valpolicella e degustare un metodo classico della zona, per di più eccellente. Poi da lì la degustazione è tutta in salita, la qualità del vino aumenta con il Valpolicella superiore, L’Amarone fino ad arrivare al vino Passito. La qualità dei prodotti era indiscussa e nota anche prima della visita, diversamente, Carlo traspira un senso di genuinità che poco si vede nel mondo viticolo di oggi. Non racconta la sua azienda, la fa trasparire direttamente nel suo modo di fare. Nell’ambiente odierno, in cui la narrazione della propria storia sembra essere diventata più importante della qualità, Carlo mantiene la sua identità e si mostra per quello che è.
Concludo con una frase che Carlo dice quando gli viene chiesto di raccontare qualcosa “Ma cosa volete che vi racconti? Le favolette?”
La giornata si è conclusa con un pranzo presso la Trattoria al Galo (Cologna ai Colli, VR) dove, il neonato gruppo giovani si saluta per il 2024 ricordando tutti gli eventi a cui si aggiunge quello appena svolto:
- Enoteca Bar Breda a Bassano del Grappa (VI), Maggio – Primo incontro ufficiale del gruppo giovani sotto lo stemma di una delle poche Enoiteche rimaste
- Al bacaro a Mirano (VE), Giugno – Vivere il bacaro, conoscerne l’ambiente e la figura dell’oste
- Pat De Colmèl Colmello (TV) – Cosa vuol dire vino antico? Vivere l’esperienza delle vere varietà dimenticate
di Francesco Favaretto
Venerdì 25 ottobre u.s. il Consolato del Veneto ha dedicato una seconda serata al tema dell'anno scelto dalla Presidenza. Dopo il successo della Conviviale "OLIO-logy: dalla drupa al piatto," del 1^ giugno presso il Frantoio di Valnogaredo a Cinto Euganeo (PD), incentrata sulla scoperta dell'oliva e delle tecniche di lavorazione per la produzione dell'olio extravergine di oliva, con "Essenze e aromi: in viaggio tra olio evo e formaggi," presso il Ristorante Tiro a Segno di Mirano (VE), ci siamo concentrati maggiormente sulla degustazione e sugli aromi.
Sono stati selezionati quattro prodotti dalla sommelier dell’olio, dott.ssa Stefania Mancin, che ci ha accompagnato con una degustazione professionale, arricchendo le nostre conoscenze e fornendoci gli strumenti necessari per scegliere un olio evo con maggiore cognizione di causa.
In degustazione:
- Il Nordico dell’Azienda Agricola Madonna delle Vittorie di Arco (Trento), un evo ottenuto da un blend particolarmente ricco di Casaliva, varietà autoctona tipica del lago di Garda, da cui si produce il Garda Dop, cultivar coltivata in Lombardia, Veneto e Trentino. Questo olio proviene da olive italiane selezionate e raccolte in anticipo per preservarne la qualità. Caratteristico nei profumi, si esprime con un fruttato leggero e sentori vegetali. Si presenta con un brillante giallo paglierino e leggeri riflessi verdi; offre una sensazione iniziale leggermente amara, seguita da note di piccante di media intensità.
- Santa Suia dell’Azienda Agricola Giorgio Sequi proviene dalla località Santa Suia a Monte Arci, Morgongiori (Sardegna), un evo derivante da monocultivar di semidana, ottenuto da olivi piantati in terreni ricchi di ossidiana. Presenta sentori freschi di foglia di pomodoro ed erbe officinali, con gradevoli note di amaro e piccante.
- Bio Orto Società Cooperativa Agricola di Posta Dei Colli - Apricena (FG) una delle realtà europee più importanti nel campo dell’agricoltura biologica. Proviene da monocultivar bio di Coratina ed è un olio di grandissima personalità, grazie ad una notevole carica polifenolica. Il fruttato è medio, con spiccate note di amaro e piccante e sentori prevalenti di erba verde, calendula, carciofo e cardo; la raccolta è tardiva, avvenendo tra novembre e dicembre.
- Costarelle, un blend toscano di moraiolo e frantoio, prodotto in una piccola azienda agricola situata nella Val d’Orcia, a Pienza, che prende il nome dallo storico podere che la ospita, nota non solo per la produzione di olio evo di qualità, ma anche per l’aglione. Presenta sentori caratteristici delle cultivar frantoio, con evidenti note di oliva, erba fresca e carciofo, arricchite da una nota pungente e vegetale; al gusto, si ritrovano sapori netti di oliva, carciofo, erba fresca e mandorla, insieme a un tocco piccante.
Con l’occasione il nostro socio dott. Maurizio Minuzzo, esperto forestale, ha presentato il tema della olive da mensa, cui il nostro Consolato dedicherà un evento nel 2025, dove le olive di mensa saranno protagoniste in tavola.
Un brindisi con le più tipiche bollicine venete, con un Prosecco sui lieviti dell’Azienda Agricola Primo Vettoretti, presentato dal giovane produttore della famiglia, Alberto Vettoretti ha dato inizio alla convivialità e alla presentazione dei prodotti più tipici della stagione con un risotto realizzato con cinque tipologie diverse di funghi, raccolti direttamente da Claudio, esperto micologo e titolare del locale, assieme alla moglie Maria Olga.
Successivamente, si è passati alla degustazione di formaggi, con quattro varietà diverse: due erborinati e due stagionati, per comprendere a fondo le differenze di lavorazione e la resa, preceduta da una interessante spiegazione del delegato nazionale ONAF - Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi, dott. Maurizio Mazzarella, sull’erborinatura, una tecnica di lavorazione casearia che consente lo sviluppo di muffe nella pasta del formaggio, dando luogo a caratteristiche striature blu-verdi. I formaggi che subiscono questo processo vengono definiti erborinati o a pasta erborinata e talvolta, semplicemente, formaggi verdi o blu, dal francese fromage bleu e dall'inglese blue cheese, in riferimento alla colorazione delle venature. L'etimologia del termine deriva da "erborin," che significa prezzemolo in dialetto milanese, poiché ricorda la presenza di foglioline di prezzemolo all'interno della pasta.
L'erborinatura è causata dalla formazione di miceli colorati di funghi del genere Penicillium (come Penicillium glaucum per il Gorgonzola o Penicillium roqueforti per il Roquefort e il Danish Blue), che si sviluppano durante la maturazione delle forme. In passato, il processo era affidato al caso, mentre oggi è rigorosamente controllato e ottenuto aggiungendo al latte, prima della cagliata, colture pure e selezionate di agenti specifici. Per l'erborinatura, nel nostro caso, il processo prevede di bucherellare le forme durante il periodo di stagionatura; la pasta del formaggio si presenta quindi compatta, burrosa e di colore giallo paglierino, effetto dovuto alle muffe blu-verdastre. Dopo un'erborinatura artificiale, la crosta tende a diventare ruvida, irregolare e con una tipica colorazione giallo-rossastra.
Il caratteristico gusto del formaggio erborinato tende a essere pungente e leggermente piccante. L'odore è influenzato sia dalla pasta, quindi dal tipo di lavorazione e di latte, sia dalla tipologia di batteri incoraggiati a crescere all'interno del formaggio. Il processo di erborinatura è stato scoperto accidentalmente grazie alle grotte umide, particolarmente favorevoli alla proliferazione di muffe, in cui i primi formaggi venivano lasciati maturare.
In degustazione:
“In Blu” IGOR Erborinato, formaggio a pasta cruda a denominazione d’origine protetta: con crosta rugosa di colore rosa più o meno intenso, non edibile; la pasta di colore bianco paglierino presenta tipiche venature azzurro-verdastre, risultando gradevole e stuzzicante dal gusto dolce, non molto pronunciato.
“Barbablù” Erborinato, del Caseificio di Ponte di Barbarano (VI), 1° classificato al concorso per la tipologia presso la XX ^ manifestazione internazionale Caseus di Piazzola sul Brenta (VI), che presenta caratteristiche simili, ma con un gusto piccante particolarmente pronunciato.
Un “Asiago” di nove mesi di stagionatura dello stesso caseificio è stato poi messo a confronto con un prodotto introvabile sul mercato: un “Malga” proveniente dalla malga Paludè di Sotto della Val di Rabbi, con quattro anni di stagionatura e una storia particolarmente curiosa. Si trattava infatti di una forma appartenente a una partita che, a causa del Covid, il malgaro è stato costretto ad abbandonare, dove il tempo, la natura e la bontà della materia prima hanno portato a una stagionatura e un aroma ineccepibili.
Inediti per il ns. Consolato gli abbinamenti scelti da Maria Olga, sommelier del locale. Con gli erborinati è stato servito uno Zibibbo Liquoroso dell’azienda Buffa, nata nel 1931 e situata nella parte più occidentale della Sicilia, azienda che si distingue per prodotti realizzati con uve autoctone del territorio marsalese; qui sentori varietali, dolcezza e alcolicità si mescolano in un vino dolce, non stucchevole e di buona persistenza.
Con gli stagionati è stata proposta una birra “100 Venti – Sir Alestrong di Borgomanero”, prodotta da un microbirrificio artigianale indipendente, non pastorizzata e non microfiltrata, con corpo robusto ma non eccessivo, un discreto tenore alcolico ed un amaro solo ad equilibrare.
I soci si sono congedati in attesa di ritrovarsi a Bologna al Convegno e con la promessa di chiudere il tema sulle cultivar con una conviviale dedicata alle olive da mensa in cucina.
El Bacaro non è una semplice osteria: è un viaggio nella tradizione, un angolo di Venezia trapiantato nel cuore di Mirano, proprio sotto il campanile. Acquisito dagli attuali proprietari nel 1994, questo locale racchiude più di cent'anni di storie, profumi e sapori che parlano di convivialità, amicizia e di un Veneto che non ha fretta, ma si gode ogni momento.
Dietro il bancone, Lucio è l'anima del Bacaro. Ha iniziato questo mestiere a 14 anni, respirando l'atmosfera delle osterie veneziane e imparando a conoscere la gente. Dopo una lunga carriera nella Laguna, ha deciso di creare un luogo tutto suo, dove la passione per il vino e il piacere di stare insieme trovano il loro spazio perfetto. Per Lucio, i clienti non sono semplici passanti: sono amici con cui scambiare battute e condividere "calici di vita." Autodidatta nel mondo del vino, nel tempo ha costruito una cantina dal valore inestimabile, un tesoro che ama condividere con chiunque varchi la soglia.
Al suo fianco c’è Silvia, sua moglie e compagna di avventure, che rende tutto più semplice. Si definisce scherzosamente la “tappabuchi” del locale, ma è il cuore pulsante di molte attività. Dai cicchetti agli antipasti, Silvia e Lucio sanno come trasformare ingredienti semplici in piccoli capolavori della tradizione veneziana.
Tra risate, cicchetti e la spillatura della neo-socia Luisella Cozzi, abbiamo degustato:
Prosecco col fondo, di Ivan Geronazzo (in arte Barichel) – Un Prosecco a fermentazione naturale ottenuta in bottiglia, prodotto con una selezione di uve delle "Rive Longhe", una delle zone collinari più prestigiose per clima, morfologia e posizione. Imbottigliato nella settimana antecedente la Pasqua, è apprezzato per il suo carattere rustico, che ci riporta alla tradizione. Col fondo, un termine che sottolinea il legame con il territorio trevigiano, evoca il metodo storico di vinificazione, quando i contadini lasciavano fermentare il vino sui lieviti. Questo Prosecco è semplicemente buono, lontano dai luoghi comuni.
Gregoletto Verdiso Colli Trevigiani IGT – Freschezza e vivacità si intrecciano a profumi di mela verde e glicine, con una leggera nota di crosta di pane. Questo vitigno autoctono della Pedemontana trevigiana rivela complessità con l'invecchiamento, grazie al contatto prolungato con i lieviti. Prodotto dalla storica cantina Gregoletto, simbolo di Premaor di Miane, esprime la tradizione secolare del Prosecco. Le vigne, coltivate da generazioni, beneficiano del microclima unico delle colline ripide, offrendo uve di alta qualità e un vino di notevole eleganza.
Pinot Bianco Schulthaus DOC – Il Pinot Bianco trova la sua seconda patria in Alto Adige dal 1850. Lo Schulthauser, imbottigliato per la prima volta nel 1982, è uno dei Pinot Bianco più celebri della regione, apprezzato per freschezza, fruttuosità, morbidezza cremosa e vivace acidità. Le uve provengono dai vigneti della zona di Schulthaus, ad Appiano Monte, e beneficiano di terreni ghiaiosi con componenti calcaree e argillose, che definiscono il carattere distintivo di questo vino.
Scarzello Langhe DOC Nebbiolo – Un Nebbiolo dai terreni calcarei e argillosi, con uve provenienti da Sarmassa e dai vigneti dei comuni di Alba e Sinio. Vinificato con una macerazione prolungata e affinato in botti di legno, questo vino riflette la struttura e l'eleganza del Nebbiolo, unita alla freschezza e alle note fruttate del terroir di Langa.
Ma cosa sono esattamente i bacari veneziani? Sono osterie in cui si gustano cicchetti e ottime "ombre" di vino, un luogo di convivialità che resiste al tempo. Il termine bàcaro deriva dai venditori di vino, i Bacari, e celebra Bacco, il dio del vino. Questi locali, un tempo frequentati da nobili e gondolieri, sono oggi il cuore della tradizione gastronomica veneziana, dove ogni cicchetto racconta una storia, dal baccalà mantecato alle polpette di carne.
El Bacaro di Lucio e Silvia è una perfetta rappresentazione di questa tradizione: con i suoi tavoli di legno scuro e un bancone accogliente, dove tutti i piatti sono realizzati grazie al pescato fresco del giorno con arrivi quotidiani da Venezia e da Chioggia e vengono creati sulla base di accostamenti classici o più all’avanguardia.
Non a caso, abbiamo scelto El Bacaro per il nostro "aperitivo lungo" del Consolato del Veneto UEG. Con un calice di vino della cantina di Lucio in mano abbiamo celebrato la fine di un’estate che ci ha messo meteorologicamente alla prova, ma che ci lascia con il desiderio di ritrovarci, sempre, in un clima allegro e conviviale.
El Bacaro non è solo un locale: è un punto di riferimento per chi cerca autenticità, un luogo dove il tempo sembra fermarsi e i sapori raccontano storie. Un’esperienza che va oltre il piatto, dove si entra come clienti e si esce come amici.
https://www.elbacaro.it/
Dopo un lungo periodo di lontananza, in cui le occasioni di incontro erano limitate a eventi istituzionali, la gioia di ritrovarsi è stata tangibile in questa Conviviale del 13 luglio u.s. che ha riunito amici provenienti dal Trentino, dal Veneto e dall’Emilia-Romagna in un momento di condivisione autentica e di riscoperta di legami che, nonostante la distanza e il tempo, rimangono forti e vibranti.
La giornata ha trovato la sua cornice ideale nel locale gestito da Massimo Bocchio e sua moglie, un luogo che si è rivelato perfetto per ospitare una giornata di tale importanza. I piatti proposti sono stati un vero e proprio viaggio nella tradizione culinaria, sapientemente reinterpretata e valorizzata da Massimo, il cui talento in cucina è stato evidente in ogni portata. Ogni assaggio ha raccontato una storia di passione e rispetto per le materie prime, frutto di una tradizione tramandata con cura e amore.
Ad accompagnare i sapori, un servizio di sala giovane ma impeccabile, che ha saputo incarnare con discrezione e professionalità lo spirito che cerchiamo nei locali selezionati per i nostri incontri. Ogni dettaglio è stato curato con attenzione, rendendo il convivio un’esperienza non solo gastronomica, ma anche sociale, dove il piacere della buona cucina e del buon bere si è intrecciato con la voglia di ritrovarsi e di stare insieme.
Questa Conviviale ha anche sottolineato l'importanza della collaborazione tra i Consolati d'Italia, che lavorando insieme riescono a far conoscere la UEG anche oltre i propri confini. Un’alleanza che rafforza il nostro impegno comune e che trova in eventi come questo la sua massima espressione.
In conclusione, l’incontro è stato un successo sotto ogni punto di vista ed ha riacceso il desiderio di ritrovarsi ancora, per continuare a celebrare l’amicizia e la buona cucina. Un grazie di cuore a Massimo Bocchio, alla sua famiglia e al suo staff per aver reso possibile tutto questo, e per averci ricordato quanto sia importante, soprattutto in momenti come questi, coltivare il piacere dello stare insieme.
Ringrazio
Desi
Pat del Colmèl
Quando ci prendiamo l’arduo compito di narrare le aziende agricole (e non solo) che incontriamo nel nostro percorso assumiamo un’elevata responsabilità. Raccontare un’azienda, di quelle che piacciono a noi (familiari, amichevoli, di quelle che ti aprono le porte e si siedono con te a bere del vino raccontandosi), in modo freddo, distaccato da giornale cronachistico, dovrebbe essere istituito come uno dei 10 peccati del Gourmet. Non de-sentimentalizzare il lavoro d’altri.
Pat del Colmèl è una di queste aziende, e io come vostro narratore non mi posso esentare dal trasmettere interamente l’azienda. Una trasmissione che non può e non deve limitarsi solo al mero racconto della loro storia ma che deve lasciar ampio spazio alle emozioni che l’azienda stessa evoca.
Il racconto dell’esperienza, sia chiaro non stiamo parlando visita ma di esperienza, non prescinde dal contesto. Ci troviamo a Castelcucco nei Colli Asolani, in un territorio in cui la viticoltura storicamente regna, ma in modo rispettoso. Rispettoso delle aree boschive, di altre colture e delle abitazioni. Il Colmèl non è che un piccolo borghetto di pochi edifici in una di queste colline in cui sorge la famiglia Pat. Scusatemi, Pat di soprannome, ma se li cercate nei registri li troverete come Forner. Lino infatti, nella nostra chiacchierata, si ferma e racconta di come dal soprannome della famiglia ne derivi il nome della sua azienda. Ridendo ci tiene a sottolineare, che però loro hanno scelto di invertire il senso logico chiamandola “Pat del Colmèl”.
Lino è il fondatore di quest’azienda, o meglio il fondatore dell’azienda che conosciamo oggi, un’azienda molto diversa da quella che lui ereditò negli anni ’60, direttamente dal nonno. Una realtà che oggi è arrivata alla quinta generazione, “I ragazzi iniziano ad avere vent’anni, possono darsi da fare anche loro” dice ridendo.
Un racconto che inizia con un momento in cui Lino, ripensando al passato, sebbene provi a nasconderla, traspira una forte emozione, un senso di piacevole nostalgia che traspare da una persona che ha dedicato alla sua azienda 60 anni della sua vita, attraversando le difficoltà e i momenti di gioia, resiliente fino ad oggi regalandoci il piacere della visita.
Dal salto generazionale, al momento di emotività Lino inizia il racconto descrivendoci l’azienda del tempo “L’azienda era un’azienda di quelle di una volta, avevamo le vacche per produrre il latte, un po’ di vigneto, eh sai, si faceva un po’ di tutto. Principalmente ci concentravamo sul latte, avevamo la stalla che poi abbiamo trasformato nell’agriturismo”. Le aziende agricole del tempo, erano concettualmente molto diverse da quelle odierne, non avevano ancora dovuto adattarsi alla globalizzazione e a tutti gli aspetti di specializzazione che abbiamo imparato a conoscere recentemente. L’azienda agricola, una volta, nasceva direttamente da una necessità di sussistenza che poi affiancava un’attività commerciale. Essenzialmente, si produceva tutto quello che serviva alla famiglia e l’esubero veniva venduto.
“Per i primi anni andava bene così, purtroppo però, il mercato del latte ha iniziato ad andare sempre più male, e siamo stati costretti di anno in anno a ridurre la produzione”. Un po’ a malincuore Lino ci dice questo, il cambiamento è necessario e inevitabile, ma in un settore agricolo spesso costretto a margini di guadagno ridotti, e in ogni caso nulli rispetto alla fatica, scegliere di sacrificare una parte del proprio lavoro, una parte del proprio passato, per quanto con il senno di poi la scelta abbia pagato, non è mai facile. Oltre questo un altro problema colpisce l’azienda dagli anni ’70 “Negli anni ‘70” racconta lino “avevo parecchi ettari di questa varietà, che mio nonno mi disse chiamarsi Recantina, era un uva rossa, piena di colore che dava dei vini molto profumati”.
Fa una pausa e china il capo “Purtroppo però quando andavo a portare l’uva in cantina me la pagavo, poco, una miseria! Fa conto che se del Merlot prendevo 100 lire della Recantina ne prendevo 20. Un giorno, siccome mi ero stancato, sono tornato a casa e la ho spiantata tutta per piantare i classici vini da taglio bordolese”. Immaginate come deve essere, quando per il mantenere la propria azienda e la propria cantina, si devono sacrificare le proprie origini, e il legame che portate con esse.
“Pochi anni dopo aveva iniziato ad andare di moda il prosecco e quindi a quel tempo si vendeva quasi il 90% quel vino li, tutte le vecchie varietà non interessavano a nessuno”. Il fenomeno del Prosecco, in meglio o no, ha completamente cambiato l’economia di un territorio, specialmente se si considera un luogo, come quello della DOCG Asolo-Montello in cui l’azienda è inserita.
Poi Lino continua “Nel 2003 abbiamo chiuso definitivamente la stalla e abbiamo tenuto solo la cantina. A quel tempo però, avevamo capito che ci voleva qualcosa di più ed ecco che abbiamo fatto anche l’agriturismo, proprio qui, proprio dove c’era la stalla”. Nei primi anni ‘2000 degli agriturismi ancora non si parlava molto, erano pochissime le aziende che iniziavano a diversificare e capire l’importanza di aprire le porte della propria azienda direttamente a chi acquista e consuma il bene, per creare un rapporto umano e di conoscenza che va ben oltre il commercio del prodotto. Lino è stato molto lungimirante.
Poi inizia a raccontare una storia, una storia che nasce nel centro del veneto da un progetto, chiamato Bionet che aveva l’ambizione di recuperare vecchie varietà di tantissime colture nella nostra regione, per favorire la riscoperta dei territori e aumentare la Biodiversità. Lino racconta “Eh un giorno sono qui, saranno stati i primi anni 2000, e sono arrivati due da Veneto Agricoltura, chiedendo se avessi delle vecchie viti, qualcosa che fosse diverso da quello che viene comunemente coltivato. Io in tutta onestà ho detto si!, perché di tutte quelle piante di Recantina che anni prima avevo tolto, ne’ avevo tenute 5, dicendo non si sa mai”. Poi inizia con un sorriso raccontando che per ben 10 anni, venivano prelevati tralci e l’uva veniva mandata al centro di ricerca a Conegliano per fare microvinificazioni e analisi. Poi si mette a ridere e si guarda in giro, “Sai, la varietà Recantina Forner dal cognome della famiglia, è stata iscritta nel 2007, ma io né avevo già piantati 3 ettari” e scoppia in una fragorosa risata. Una risata di una persona che ha scommesso tutto sulla sua storia, sulla tradizione e su quell’uva che il nonno gli aveva lasciato. In un altro momento Lino ammette di essersi preso un grosso rischio, perché se non avessero iscritto quella varietà, coltivabile solo nella DOCG, lui avrebbe chiaramente fatto un gran buco nell’acqua. Ma a noi piace pensare che oltre alla lungimiranza di lino, e un pizzico di fortuna il territorio abbia deciso di premiare chi, invece di standardizzarsi alle richieste del mondo ha deciso di mantenere identità e storicità nelle sue produzioni.
Purtroppo, però le peripezie di Lino non sono finite qui. Infatti, poco dopo l’iscrizione della varietà Lino produce le sue prime bottiglie di Recantina, che porta a vari eventi, e vende, per scelta a 2-3 volte il prezzo dei rossi da tagli bordolesi. “Eh, mi ricordo bene cosa mi dicevano, a me che avevo messo il vino molto più caro del loro, “Dove vuoi andare con quel vino la?” ed ecco che Lino si ritrova di nuovo a dover lottare per le sue convinzioni. “Il problema per loro” dice Lino “è che quel vino lo ho iniziato a vendere, e ne ho venduto tanto, tanto che adesso il prosecco è diventato un prodotto marginale nella mia azienda”.
Arriviamo quindi al giorno d’oggi, ad un’azienda di 16 ha, quasi tutti prevalentemente in collina, un’azienda che oltre alla Recantina Forner, vanta anche altre varietà storiche tra cui Marzemina Bianca, Grapariol e una varietà particolare, introvabile. Lino racconta “Eh sì, oltre alla Recantina, abbiamo altre vecchie varietà, la Bianchetta, la Perera, la Marzemina bianca, il verdiso, il verduzzo trevigiano, quello vecchio di una volta. Poi ne abbiamo una, che abbiamo solo noi e nessun altro, la Rabbiosa” il mio sguardo interrogativo lo fa proseguire “Si, la Rabbiosa è anche quello un vitigno ereditato dal nonno, non so che nome posso dargli lui mi ha sempre detto che si chiamava così” Poi racconta “è sempre stata un’uva molto difficile e molto difficile da domare, troppo forte, infatti noi facciamo un metodo classico che lasciamo almeno 50/70 mesi sui lieviti” Nobile produrre un metodo classico con quel tipo di invecchiamento su un’uva non conosciuta. In occasione del pranzo organizzato dalla nostra sezione giovani di cui trovate alcune foto, Lino parlando proprio della Rabbiosa disse “Ne abbiamo aperta una bottiglia ieri sera di 10 anni, sembrava fatta ieri”.
L’azienda Pat de Colmèl è un’azienda molto particolare, riesce a mantenere qualità e storicità dei prodotti, ma allo stesso tempo investendo in innovazione, Lino infatti ci ha raccontato che hanno di recente acquistato un macchinario in grado di gestire l’ossidazione del vino che gli ha permesso di ridurre del 50% l’uso di Anidride Solforosa. “In vigneto, cosa volete, mezzi sono quelli che sono, e siamo in collina; quindi, si lavora e si vendemmia tutto a mano. Abbiamo una squadra fidata di vendemmiatori che prendono la vendemmia come una fatica ma anche un momento di festa”.
Tra i Vini dell’azienda oltre alle varie forme di Recantina, gli internazionali Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc, La Rabbiosa rifermentata in bottiglia con il metodo Sur-lie (Col fondo) anche la selezione di vini “Angelo” che Lino ha raccontato aver loro dato il nome di suo padre perché fu lui a piantare e a battersi per il mantenimento di queste varietà storiche. Sapete che non ho mai apprezzato guidare le degustazioni, infatti non mi dilungherò in un noioso elenco descrittivo dei vari prodotti, piuttosto ci tengo a consigliarvi vivamente la visita, trovare un’azienda con un patrimonio viticolo con tanta biodiversità è estremamente raro, i prodotti che ottengono e che potrete degustare vi stupiranno perché, proprio per la loro unicità, sono caratterizzati da patrimoni aromatici molto diversi dai vini a cui siamo abituati.
Un elogio lo facciamo anche all’agriturismo, un agriturismo che utilizza veramente prodotti “a metro 0” come sono stati definiti durante il nostro pranzo, valorizzandoli ma allo stesso tempo riaspettando la loro integrità e i loro sapori.
Desidero esprimere la mia più sincera gratitudine a Desmen Dangerfield e Noemi Torresan, i cui sforzi sono stati fondamentali per la realizzazione di questa straordinaria esperienza. Grazie alla loro dedizione e competenza, noi giovani UEG e tutti i soci partecipanti abbiamo avuto l'opportunità di arricchire il nostro percorso e creare ricordi indimenticabili.
Francesco Faveretto
http://www.patdelcolmel.it/
Azienda Agricola COLMELLO
Via Costeselle, 5
31030 Castelcucco (TV)
Italia
Telefono: + 39 0423 545292
La conviviale "Olio-logy dalla drupa al piatto" ha avuto l'obiettivo primario di avvicinare i ns. soci al mondo dell'olio extravergine, tema dell’anno per l’Unione Europeenne des Gourmets, come stabilito della presidenza.
Per rendere l'esperienza più autentica ed istruttiva si è scelto di partire proprio dalla materia prima: l'oliva. Proprio per questo l'evento si è svolto in un frantoio situato in una delle tre aree a Denominazione di Origine Protetta (DOP) del Veneto, scelta determinante per offrire ai partecipanti una panoramica completa sull'intero processo di produzione dell'olio.
La giornata è iniziata in uliveto, dove il titolare del frantoio ci ha accolti con calore e competenza. Ha illustrato l'importanza del terreno, del clima e delle tecniche di coltivazione per ottenere olive di qualità superiore. I soci hanno potuto "toccare con mano" l'intero processo produttivo, comprendendo l'attenzione e la cura necessarie per coltivare le olive e per dare il prodotto finito a regola d’arte.
Dopo la visita all'uliveto, siamo stati condotti nel cuore del frantoio. Qui, il titolare ha spiegato dettagliatamente ogni fase della lavorazione delle olive che passa dalla raccolta manuale e, attraverso una autentica selezione, porta alla trasformazione vera e propria. È stato affascinante scoprire come ogni singolo passaggio influenzi il risultato finale, garantendo la purezza e le caratteristiche organolettiche dell'olio extravergine.
La spiegazione è proseguita con ampi cenni sulle tecniche di estrazione a freddo, che preservano intatti i profumi e i sapori dell'olio, comprendendo l'importanza di ogni dettaglio nel processo produttivo.
La giornata si è conclusa con una degustazione guidata dei vari prodotti nel frantoio. Ogni assaggio è stato accompagnato da spiegazioni sulle diverse note aromatiche e gustative, aiutando i soci a riconoscere e apprezzare le sfumature che distinguono un olio extravergine di alta qualità.
Durante la giornata i titolari del Frantoio di Valnogaredo, Paolo e Pierangela Barbiero, ci hanno intrattenuto anche con importantissimi cenni storici sugli inizi dell’attività in zona dovuta al conte Contarini.
Durante la degustazione degli oli prodotti il nostro Consolato ha potuto usufruire anche delle spiegazioni di una sommelier dell’Olio, Stefania Mancin, che ci ha raggiunto con questo scopo e che ci seguirà anche durante la seconda parte di attività sull’olio Evo che si terrà a ottobre e che sarà maggiormente incentrata sulle tecniche di degustazione.
L'evento "OLIO-logy dalla drupa al piatto" è stato gradito non solo per la sua componente educativa, ma anche per l'atmosfera conviviale che ha permesso ai partecipanti di condividere esperienze e conoscenze. Grazie a questa iniziativa, i soci del UEG Consolato del Veneto hanno potuto iniziare ad approfondire la loro comprensione dell'olio extravergine di oliva, apprezzandone ancora di più il valore e la complessità.
La giornata è poi terminata in un momento conviviale presso la Trattoria al Cantinon di Cinto Euganeo scelta perché in cucina si utiizzano gli oli provenienti dal frantoio di Valnogaredo.
https://www.frantoiovalnogaredo.com/
https://www.trattoriaalcantinon.com/
Il Consolato del Veneto ha partecipato, in qualità di sostenitore, ad un progetto per la candidatura dello stoccafisso a Patrimonio Immateriale Unesco che si è tenuto a Bassano del Grappa in occasione del terzo weekend di maggio, da venerdì 17 a domenica 19.
Si è trattato di un importante momento volto a valutare, studiare e sostenere la candidatura dello stoccafisso a Patrimonio Immateriale Unesco: l’International Meeting for Stockfish Heritage.
L’evento, di grande respiro, è stato dedicato alla valorizzazione di quel baccalà che il patrizio veneto Pietro Querini, naufragato in prossimità delle isole Lofoten in Norvegia, fece conoscere nella Serenissima, e che oggi costituisce uno dei piatti forti della tradizione gastronomica vicentina. Per il nostro Consolato e per i soci presenti si è trattato di una felice continuazione di un percorso iniziato a fine 2021 con la conviviale a Montegaldella presso il Ristorante Da Cirillo che ha avuto come protagonista il baccalà alla vicentina abbinato alla malvasia secca e come oratori il prof. Muraro ed il prof. Fabris, anima della manifestazione “Stockbridge 2024”.
La portata internazionale dell’evento è stata testimoniata anche dalla presenza in contemporanea dell’Associazione Pescatori Sami e da Slow Food Nigeria; questo ha consentito ai produttori del Circolo Polare Artico di incontrare i consumatori africani della Nigeria.
Il programma di questa originale tre giorni è stato davvero densissimo di eventi, convegni e momenti di confronto.
UEG Consolato del Veneto ha partecipato alla sfilata delle Confraternite e delle Associazioni enogastronomiche per le vie del centro di Bassano del Grappa che si è conclusa con la consegna di una penna di Aquila Artica per il Presidente Nazionale degli Alpini da parte della delegazione norvegese e con gli onori al “Berretto Norvegese”, dono al Museo degli Alpini ed un abbraccio con le rappresentanze del Corpo degli Alpini e della loro banda.
La giornata è poi proseguita con un momento strettamente gastronomico e con la degustazione di piatti a base di stoccafisso provenienti da ogni parte del mondo.
Piatti e chefs coinvolti:
Finmark, Norvegia Stoccafisso alla griglia abbinato a birra 7 Fjellen Stig Anton Eliassen Presidente ass. cuochi di Finmark
Bergen, Norvegia Bergen Lutefisk abbinato a birra 7 Fjellen Hildegunn Foldnes Slow-Food Bergen
Cittanova, Calabria, Italia Insalata di Stocco ai profumi del mediterraneo abbinato a Semirus di Cantine Dell’Aera Anna Aloi Accademia Stoccafisso di Calabria
South-west Nigeria Ogbono, cibo rituale abbinato a birra Andechs Weizenbock Oreyemi Babatunde Slow Food Nigeria
Napoli, Campania, Italia Coronello di Stocco alla napoletana abbinato a Katà di Cantine Olivella Vincenzo Russo Accademia dei Baccalajuoli
Rovereto, Trentino, Italia Stofiss dei Frati abbinato a Nosiola del Maso Belvedere. Marco Divan Vulnerabile Confr. dello Stofiss dei Frati
Venezia, Veneto, Italia Baccalà Mantecato alla veneziana abbinato a Vespaiolo Brut Franco Favaretto Dogale Confr. del Mantecato
Bassano del Grappa, Veneto, Italia Baccalà in umido alla bassanese abbinato a Vespaiolo Breganze Franco Chiurato Macaronicorum R. B. Collegium
Bassano del Grappa, Veneto, Italia “Baccalà young” abbinato a Durello Cà dei Vescovi Enaip Veneto - Bassano del Grappa
Ceccano, Lazio, Italia Baccalà alla ciociara abbinato a Bellone del Casale del Giglio Danilo Diana Pro Loco Ceccano
Nelle foto alcuni momenti della degustazione
Per maggiori informazioni:
https://stockfishsociety.org/stockfish-heritage/
Per contributi video da parte delle associazioni:
https://www.facebook.com/share/p/E5h5bJdqoEBQPnsA/
il Consolato del Veneto partecipa come sostenitore alla manifestazione sulla valorizzazione dello Stoccafisso in una prospettiva UNESCO.
Per eventuali prenotazioni è necessario fare riferimento alla proloco di Bassano del Grappa
info@probassano.it
Sabato 13 aprile scorso, l'Union Européenne des Gourmets - Consolato del Veneto ha tenuto un evento indimenticabile presso uno storico locale di San Martino d’Alpago, una suggestiva frazione di Chies, incastonata tra le maestose montagne della provincia di Belluno, a breve distanza dalle rive del Lago di Santa Croce e dalla rinomata Foresta del Cansiglio.
L'iniziativa ha preso vita attraverso il programma sociale "A Spasso con le Sette Sorelle", grazie alla conviviale "A Tavola con l'Agnello d'Alpago: un mix saporito tra tradizione ed innovazione gastronomica".
La scelta del locale è ricaduta sulla storica Locanda San Martino ristorante fondato nel 1952 da Piero e Nella, i genitori di Norina e Gabriella Barattin, e ora gestito con passione dalle loro figlie Giulia ed Alice Pedol, insieme ai loro talentuosi compagni: il sommelier Alberto Zoppè e lo chef Paolo Speranzon.
La loro cucina si è rivelata un affascinante connubio di tradizione e modernità, con l'obiettivo di valorizzare i piatti della tradizione alpagota, tra cui l'indimenticabile Agnello dell’Alpago, autentico presidio Slow Food proveniente dall'allevamento di famiglia, unitamente a una ricerca costante di ingredienti e ricette contemporanee, capaci di sorprendere anche i palati più esigenti.
Il Menù ha deliziato i soci e gli amici presenti con una selezione dei piatti più prelibati offerti dalla Locanda:
L’agnello d’Alpago ha indubbiamente regnato come "piatto principe", presentato e degustato in due varianti di cottura.
Per concludere in dolcezza, è stata offerta una deliziosa zuppetta di ananas caramellato, lime e cocco.
La selezione dei vini in abbinamento è stata curata dai nostri sommelier, guidati con maestria da Alberto, e ha incluso:
Ad eccezione dello Schioppettino, tutti i vini sono stati accuratamente scelti per rappresentare al meglio il territorio, con l'obiettivo di valorizzare sia l'economia che l'eccezionale produzione locale.
La conviviale si è conclusa con un sentito ringraziamento da parte dei soci UEG - Consolato del Veneto alla "brigata di cucina", ai cuochi e al maitre di sala, seguito dalla consegna del Guidoncino ricordo.
In conclusione, l'invito rimane quello di apprezzare la buona tavola ed il vino in modo responsabile, privilegiando sempre la qualità e godendo appieno della convivialità.
Per chi desiderasse provare questa straordinaria esperienza, che per i soci del Consolato del Veneto era stata preceduta da un editoriale dedicato, tra l’altro, all’Agnello dell’Alpago, è possibile prenotare un soggiorno presso la Locanda San Martino, anche per provare l'emozione di un luogo dove il tempo sembra rallentare, regalando momenti di autentica tranquillità scanditi solo dalle attività della vita di paese, dal suono della campana della Chiesa di fronte e, durante l'estate, dal tintinnio dei campanacci delle mucche al pascolo, mescolato ai profumi di pane appena sfornato e di fieno dei prati, in un tripudio di autentica bellezza e gastronomia raffinata.
Desi